5 uomini in barca

Spesso durante i nostri viaggi abbiamo vissuto esperienze che meritavano di essere raccontate con maggiore respiro rispetto al diario, con più inventiva, con enfasi, con ironia.

Per questi motivi abbiamo raccolto qui quelle che per  ora hanno visto la luce. Altre sono ancora nel cassetto ma appena possibile si aggiungeranno alle esistenti per arricchire queste pagine che mescolano realtà e fantasia.

Buona lettura.

5 uomini in barca

5 uomini in barcaQuesta prima storia racconta di cinque uomini e una ciurma che per qualche giorno navigano su acque oceaniche tra isole incontaminate, animali preistorici e cieli stellati. Lontani dal mondo conosciuto, in balia dei flutti e della sorte lo “zio”, la “ragazza”, il “mercante”, la “vecchia” e “don Diego de la Vega”, guidati da marinai indonesiani lasciano le coste dell’isola di Flores alla volta di Lombok, passando per Rinca e Komodo e costeggiando Sumbawa. Ma come si sono incontrati ?

L’incontro

Al tramonto di qualche giorno precedente la nostra avventura nel piccolo porto di Labuanbajo – Flores, approdano sfiniti da dodici ore di traversata su una canoa lo zio e la ragazza. Dopo siffatta impresa il sogno di un giaciglio notturno si rivela purtroppo un miraggio. Che fare ? I due camminano sconsolati lungo la strada centrale quando incrociano tre uomini del loro medesimo idioma. La solidarietà tra conterranei assicura un letto e davanti ad alcune birre nasce il progetto dell’impresa nautica. Il gruppo sarà in tal modo formato: lo zio, così nominato dagli altri sul campo per la sua autorità anagrafica, il mercante, imbattibile in qualsivoglia trattativa, la vecchia, spilungone secco secco dai lunghi capelli, Don Diego de la Vega per la sua singolare somiglianza con Zorro, con tanto di baffetto nero e infine la ragazza, unica donna del gruppo. Non resta che incontrare la ciurma per l’inevitabile trattativa.

La trattativa

Appuntamento per cena con la possibile compagnia di navigazione in una locanda arroccata sulle colline della baia. Si presentano il capitano, il mozzo e due signore non meglio precisate come dessert. Davanti ai primi boccali di birra e al decolté del dessert il mercante, sul quale tutti puntavano per portare a casa un buon prezzo, perde il senno e si lancia in un corteggiamento improbabile. Non si avvede che è questione di dollari. Lo zio, la vecchia e Don Diego prendono in mano la situazione, lasciano il mercante alla deriva di se stesso e cominciano a contrattare. La ragazza fa tappezzeria, seduta accanto al mozzo che rutta come un dinosauro mentre le parla ma si nasconde sotto il tavolo per soffiarsi il naso chiedendo scusa tutte le volte. Paese che vai, usanza che trovi. La vecchia, seduto di fronte, assiste alla scena, cercando cavallerescamente di distrarre il mozzo nella speranza di direzionare altrove l’emissione di gas. Appeso al soffitto un geco grosso come un gatto incombe sulla tavolata. Si spera nella tenuta delle ventose. Verso notte inoltrata il tasso alcoolico ha superato i limiti di guardia, il dessert ha cambiato tavolo su ordine del capitano in cerca di avventori meno romantici . Il gruppo arriva all’accordo. Partenza domattina. Appuntamento al porto.

La partenza

Al mattino i nostri cinque intrepidi si presentano compatti, bagagli alla mano, sulla banchina del piccolo porto di Labuanbajo per la prima ispezione dell’imbarcazione. Pare sufficiente per stazza e condizioni generali. Ruggine a parte. La ciurma provvederà al vitto oltre che al trasporto. Bevande escluse. Bevande escluse ? Gravissimo ! Lo zio e la vecchia partono immediatamente alla ricerca di una cassa di birra, necessaria alla sopravvivenza del gruppo. Si incamminano verso il paese e tornano vincitori dopo circa un’ora trascorsa tra trattative di acquisto, manco a dirlo, e trasporto della preziosa e pesante cassa. Ultimi controlli e si salpa, la costa si allontana. La barca punta al largo, verso l’Oceano aperto. Interiormente tutti si fanno il segno della croce. Esteriormente tutti stappano la prima bottiglia.

La traversata

Il velieroL’impatto con le prime onde del mare aperto lascia tutti un po’ perplessi. Sarà così per tutti e cinque i giorni ? Si risponderanno più tardi. Nel frattempo rotolando da poppa a prua osservano il panorama, respirano l’aria fresca e umida del mare aperto, seguono con lo sguardo le traiettorie degli uccelli, prendono in faccia secchiate di acqua marina. Il primo pasto preparato dal cuoco di bordo mette tutti di ottimo umore: riso, pesce, verdure speziate. Si mangia seduti a terra sul ponte, tra chiacchiere in varie lingue, compresa quella dei segni.

Durante il tragitto la barca incrocia spesso piccole isole disabitate, veri e propri atolli persi nel blu, circondati dalla barriera corallina e popolati solo da granchi. Non è possibile attraccare: il capitano getta l’ancora al largo e per raggiungere le isole non resta che farsela a nuoto. Uno dopo l’altro lo zio, la vecchia, il mercante, Don Diego e la ragazza si tuffano nelle fredde acque mosse per raggiungere spiagge rosa di corallo tempestate di conchiglie che paiono gioielli, per riposare all’ombra di tre palme cresciute lì chissà come, per galleggiare a pelo d’acqua sopra castelli sottomarini di alghe e rocce e pesci e coralli di tutti i colori. Distante, al largo, la casa-barca ancorata beccheggia mollemente sulle onde in loro attesa. Quando giunge il momento di salpare il capitano chiama all’ordine con un fischietto da arbitro, che naturalmente fa scattare nel gruppo l’italico animo calcistico: GOOOAAAALLLL! rispondono inesorabilmente in coro prima di tuffarsi in acqua e raggiungere il vascello nuotando nelle pose più strane: chi perché tenta di portare a bordo una conchiglia da venti chili, chi per salvare la macchina fotografica, chi per salvare la schiena bruciata dal troppo sole equatoriale.

In una delle svariate discese si tenta un diversivo: raggiungere la riva in canoa. Viene calata in acqua dalla ciurma una piccola barca scavata nel tronco di una palma. Tentano l’impresa Don Diego e il mercante. Il primo si introduce nello stretto abitacolo senza danni. Il secondo, troppo veemente, imbarca un poco d’acqua. I due sono ora seduti uno di fronte all’altro, in attesa di staccarsi dalla chiglia della nave madre. L’illusione di salpare dura poco. Il peso sostenibile dal fuscello è stato superato. La canoa lentamente e inesorabilmente affonda. Centimetro dopo centimetro. I due assistono muti al loro naufragio. Sul ponte della nave madre il capitano e la ciurma scoppiano in un fragoroso applauso.

La tappa principe della traversata prevede l’esplorazione delle mitiche isole preistoriche di Rinca e Komodo, popolate dai varani. L’imbarcazione le raggiunge la mattina del terzo giorno di navigazione, quando oramai la cassa di birra è stata svuotata dallla sera precedente. Il trekking sulla terraferma dura tutta la giornata. Svizzeri, tedeschi, americani lo affrontano in perfetta tenuta da esploratore: scarponcino allacciato antisdrucciolo infilato su calzettone tattico, pantalone lungo, cappello, macchina fotografica con treppiede, crema fattore protezione 60. Il nostro gruppo non è da vedere: sbarca in infradito, pareo fiorato e occhiali da sole tra la perplessità degli astanti. I varani comunque li vedono pure loro: con grande soddisfazione riescono ad incrociarne alcuni tra il fitto della vegetazione, enormi e impressionanti lucertoloni carnivori dall’ingannevole aspetto sonnacchioso. Si spera non si accorgano delle ciabatte da mare che renderebbero la fuga imprecisa e probabilmente inutile. La notte seguente il gruppo e la ciurma la trascorrono attraccati al largo delle isole, in una baia tranquilla e silenziosa., sotto una volta di stelle indescrivibili. Questa sarà ricordata come la notte del mercante. Una piccola barca affianca silenziosa il vascello e in un attimo salgono a bordo piccoli indonesiani agguerriti che srotolano sul ponte stuoie contenenti ogni genere di mercanzia: collane, bracciali, maschere tribali, lance, scodelle, animali intagliati nel legno, stoffe…. E’ un attimo: il mercante scrocchia le dita, si siede nella posizione del loto, scambia uno sguardo con i compagni e prende possesso della situazione. I poveri indonesiani non sanno che cosa li aspetta: Don Diego individua una maschera e lo zio e la ragazza un varano in legno lungo almeno cinquanta centimetri. Parte la trattativa. Dopo due ore, il mercante e l’unico indonesiano sopravvissuto al match sono alle fasi finali. Tutto intorno gli altri osservano muti tra fiumi di pessimo liquore locale, probabilmente un distillato estratto dal tubo di scappamento di un camion e kretek, profumate sigarette ai chiodi di garofano. Le stelle osservano mute. All’alba del giorno seguente il varano e la maschera troneggiano a prua.

Il porto di Lombok si avvicina: un gorno e una notte di mare aperto al largo di Sumbawa separano il gruppo dalla meta. Pare semplice, non fosse che per tutto il tempo restante il mare decide di divenire protagonista. Onde di molti metri sballottano la barca e il suo equipaggio a destra e a manca. Con la luce del giorno sembra divertente, ma nel buio della notte l’ansia prende il sopravvento. Restare ancorati al pavimento del ponte richiede uno sforzo non indifferente e i nostri cinque, avvolti nelle loro coperte intrise di salsedine paiono vecchi tappeti arrotolati, ognuno nel suo angolo, poi tutti in mucchio, poi alcuni a poppa altri a prua, poi di nuovo tutti in mucchio e così via. All’alba sui loro volti la notte appena trascorsa ha lasciato segni profondi.

L’approdo

La traversta dei nostri cinque finisce senza infamia e senza lode sulle coste dell’isola di Lombok in un non meglio precisato piccolo porto. Lo zio, la ragazza, il mercante, la vecchia e Don Diego, con i capelli scolpiti dalla salsedine, si congedano dalla ciurma e tentano di riappropriarsi della stabilità sulla terraferma. Barcollando raggiungono un bus che saltellando qua e là sulla strada di terra battuta li porterà verso le foreste lussureggianti dell’interno, popolate da migliaia di scimmie. Ma questa è un’altra storia.

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